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Lab. teatrale: 'La buona condotta del 12 novembre 2019'

La buona condotta del 12 novembre 2019

Prof. Francesco Gallo
(da permarecontromano.it)

Per dirla con Bernard Friot, io credo che il verbo leggere sia declinato in un senso troppo stretto. E’ forse propio a causa di questa gabbia, in cui abbiamo confinato il libro e la lettura, che i nostri ragazzi rifuggono le biblioteche e le librerie.

Come poi i libri siano addirittura finiti nel calendario delle ricorrenze degli offesi io non saprei dirlo.

Non è comunque questo l’oggetto della buona condotta di oggi, ma piuttosto la straordinaria soddisfazione del mio/nostro incontro con un gruppo di ragazzi delle scuole medie E. De Nicola di Castrovillari.

L’occasione è quella di Libriamoci, ma il ladro in questo caso è ben più dell’occasione.

Con alcune colleghe (esattamente la professoressa Paola Aprile, la Professoressa Rosa Pugliese) ed una una decina di ragazzi premurosi dell’ITIS Fermi di Castrovillari, abbiamo confezionato un piccolo laboratorio su una delle favole che più amo di Gianni Rodari: L’uomo che Rubava il Colosseo.

Si tratta di una delle settanta storie di un libro meraviglioso: “Favole al Telefono”.

Quasi due ore di sano divertimento, di appassionata lettura e di interpretazione del piccolo gioiellino dello scrittore di Omegna.

Dopo una giornata così, si può tribolare per almeno un paio mesi e quando le forze sembreranno finite potremo ripensare ad una ragazzina minuta che ad una domanda su un ipotetico frigo presente a casa del ladro del Colosseo ha risposto:

-Sarà certamente un frigo pieno di roba. E un uomo solo e il cibo è certamente un modo di sfogarsi.

Magari non diventerà un’artista, ma è già una donna libera!

______________________________________________________________

Una volta un uomo si mise in testa di rubare il Colosseo di Roma, voleva averlo tutto per sé perché non gli piaceva doverlo dividere con gli altri. Prese una borsa, andò al Colosseo, aspettò che il custode guardasse da un’altra parte, riempì affannosamente la borsa di vecchie pietre e se le portò a casa. Il giorno dopo fece lo stesso, e tutte le mattine tranne la domenica faceva almeno un paio di viaggi o anche tre, stando sempre bene attento che le guardie non lo scoprissero. La domenica riposava e contava le pietre rubate, che si andavano ammucchiando in cantina.

Quando la cantina fu piena cominciò a riempire il solaio, e quando il solaio fu pieno nascondeva le pietre sotto i divani, dentro gli armadi e nella cesta della biancheria sporca. Ogni volta che tornava al Colosseo lo osservava ben bene da tutte le partie concludeva fra sé: «Pare lo stesso, ma una certa differenza si nota. In quel punto là è già un po’ più piccolo». E asciugandosi il sudore grattava un pezzo di mattone da una gradinata, staccava una pietruzza dagli archi e riempiva la borsa. Passavano
e ripassavano accanto a lui turisti in estasi, con la bocca aperta per la meraviglia, e lui ridacchiava di gusto, anche se di nascosto:

Ah, come spalancherete gli occhi il giorno che non vedrete più il Colosseo. Se andava dal tabaccaio, le cartoline a colori con la veduta del grandioso anfiteatro gli mettevano allegria, doveva fingere di soffiarsi il naso nel fazzoletto per non farsi vedere a ridere: – Ih! Ih! Le cartoline illustrate. Tra poco, se vorrete vedere il Colosseo, dovrete proprio accontentarvi delle cartoline. Passarono i mesi e gli anni. Le pietrerubate si ammassavano ormai sotto il letto, riempivano la cucina lasciando solo uno stretto passaggio tra il fornello a gas e il lavandino, colmavano la vasca da bagno, avevano trasformato il corridoio in una trincea. Ma il Colosseo era sempre al suo posto, non gli mancava un arco: non sarebbe stato più intero di così se una zanzara avesse lavorato a demolirlo con le sue zampette. Il povero ladro, invecchiando, fu preso dalla disperazione. Pensava: «Che io abbia sbagliato i miei calcoli? Forse avrei fatto meglio a rubare la cupola di San Pietro? Su, su, coraggio: quando si prende una decisione bisogna saper andare fino in fondo».

Ogni viaggio, ormai, gli costava sempre più fatica e dolore. La borsa gli rompeva le braccia e gli faceva sanguinare le mani. Quando sentì che stava per morire si trascinò un’ultima volta fino al Colosseo e si arrampicò penosamente di gradinata in gradinata fin sul più alto terrazzo. Il sole al tramonto colorava d’oro, di porpora e di viola le antiche rovine, ma il povero vecchio non poteva veder nulla, perché le lagrime e la stanchezza gli velavano gli occhi. Aveva sperato di rimaner solo, ma già dei turisti si affollavano sul terrazzino, gridando in lingue diverse la loro meraviglia. Ed ecco, tra tante voci, il vecchio ladro distinse quella argentina di un bimbo che gridava: – Mio! Mio!

Come stonava, com’era brutta quella parola lassù, davanti a tanta bellezza. Il vecchio, adesso, lo capiva, e avrebbe voluto dirlo al bambino, avrebbe voluto insegnargli a dire «nostro», invece che «mio», ma gli mancarono le forze.

G. Rodari “L’uomo che rubava il Colosseo” da Favole al Telefono, Torino, Einaudi.

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